lunedì 31 marzo 2008

I proclami sui salari bassi che infuocano (si fa per dire, vista la rassegnazione generale) la campagna elettorale ricordano un po' gli slogan peronisti degli anni 50. I contendenti dicono di voler aumentare gli stipendi, insieme alla pensioni (senza dire dove troveranno i soldi ovviamente), e tanto per aggiungere qualche corbelleria in piu' a beneficio dei gonzi, si parla anche di riduzione delle tasse.

Ma tanto per cominciare sarebbe utile capire i motivi per cui i salari sono bassi. Una volta individuate le cause forse si potrebbe immaginare una soluzione. I salari in Italia sono bassi (se paragonati alla media degli altri paesi OCSE), e tenderanno a diminuire ancora piu' rapidamente in termini reali, per tre motivi basilari:

1) La Cina, l'India e molti altri paesi emergenti sono in grado di produrre a costi molto piu' bassi nei settori maturi dove una volta l'Italia aveva posizioni di leadership: tessile, calzature, mobili, elettrodomestici etc. Per quelle poche aziende che ancora riamangono a galla (ma non per molto) l'unico modo di prolungare l'agonia e' quello di pagare i dipendenti il meno possibile. Per questo ricorrono ad immigrati (spesso in nero) e/o a precari.

2) I settori ad alta tecnologia, quindi ad alto valore aggiunto, dove si pagano salari dignitosi, in Italia sono asfittici. Non si fa ricerca, quella poca che si fa raramente si traduce in innovazione industriale o in brevetti utili. E anche se qualche imprenditore italiano con capacita' di innovazione esistesse non sarebbe cosi' imbecille da investire in un paese dove le tasse e gli oneri sociali sono punitivi, le regolamentazioni sono da delirio, le banche sono dedite all'usura e le infrastrutture sono da terzo mondo (per non parlare della criminalita' organizzata e delle cosiddette istituzioni). Quindi andrebbe ad investire in un paese civile, dove magari avrebbe probabilita' di trovare fondi di venture capital (concetto pressoche' sconosciuto nello Stivale).

3) I prezzi delle materie prime specialmente quelle energetiche sono destinati ad aumentare perche' almeno un miliardo di individui, che hanno raggiunto la soglia dell'agiatezza nei paesi dell'ex Terzo Mondo, oggi si possono permettere autovetture, elettrodomestici, vestiti e cibi che prima erano loro preclusi. L'impennata della domanda continuera' a gonfiare i prezzi almeno per qualche anno.

Sarebbe interessante sapere quale strategia o proposta viene sottoposta agli elettori per affrontare questi nodi, al di la' dei proclami o delle comparsate da Vespa & Co.

Fabio Scacciavillani

mercoledì 26 marzo 2008

SECESSIONE DOLCE

Il termine secessione, seppure edulcorato, torna nuovamente sulla scena del dibattito per bocca del direttore de Il Sole 24 ore De Bortoli. Secessione è la figura estrema della questione settentrionale che si è manifestata politicamente in modo flagrante coll'irruzione e l'affermazione della Lega Nord. L'ipotesi di una separazione territoriale delle regioni del Nord Italia e della creazione di una identità etnico-regionale, la Padania, invenzione dell'immaginario politico più che culturale, fa perno sulla reale differenza economica sussistente tra le differenti aree del paese. Possiamo dire che al declino del meridionalismo, inteso come proposizione del tema dell'arretratezza del Mezzogiorno come questione nazionale, ha corrisposto l'avanzata del discorso sul Settentrione, sulla sua insofferenza, sulla sua riottosità e presa di distanza dal potere centrale statale. Il principio della "Repubblica una e indivisibile" riceve una scossa tellurica che rappresenta una sfida storica importante e tutt'affatto superata. Come la tendenza all'allontanamento del Nord potrà essere riassorbita in un quadro di rinnovata politica nazionale e quanto la realtà del Partito democratico potrà contribuire a risolvere quest'annoso e persistente problema?


Carlo Lavalle

domenica 23 marzo 2008

Tempo di bilanci

Vacanze di Pasqua, tempo di bilanci. Mi riferisco alla nostra partecipazione nel Partito Democratico. I fatti nudi e crudi sono questi, e non possiamo nasconderceli.
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Fin dalle "primarie" di Ottobre, gli apparati DS e DL ci hanno letteralmente impedito di candidarci in almeno 10-15 città, rifiutandosi di (riceverci per) vidimare le nostre liste, sempre con la stessa motivazione: "vogliamo favorire Veltroni (Bindi, Letta)". Testimoni silenziosi di queste vicende restano le nostre liste vidimate - per un atto di pura cortesia - da consiglieri di centrodestra (che nelle elezioni interne del PD non c'entrano niente). Lo stesso regolamento basato sui delegati era fatto per impedire agli outsider una partecipazione più che simbolica, ma questo lo sapevamo. L'appliazione dello stesso regolamento, tuttavia, era affidato agli stessi apparati, che in maniera inopinata hanno escluso altre due nostre liste a Genova (motivo: non erano state vidimate in tempo dai consiglieri DS-DL!). Tuttavia, sul piano dei contenuti abbiamo molto influenzato il PD, con almeno due candidati (Veltroni e Bindi) su quattro che hanno attinto a piene mani dal nostro programma, a cavallo fra la protesta, la meritocrazia e l'esigenza del buon governo.
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La stessa impostazione è emersa in questi mesi. Contrariamente a quanto promesso (da Bettini), ci hanno di fatto impedito di guidare sul sito del PD dei Forum tematici (su: "la democrazia dal basso", "la riforma della cooperazione allo sviluppo", "la proliferazione nucleare") che pure avevamo affidato ai migliori esperti italiani. Al momento delle candidature, poi, si sono resi irreperibili e non ci hanno aperto neppure uno spiraglio. E' come se dicessero: "il PD è cosa nostra, gli outsider e la società civile ci servono come foglie di fico, ma non oltre". Però continuiamo a essere ascoltati quando parliamo di contenuti. Ad es. WV ora parla di ridurre gli stipendi dei parlamentari. E nel Manifesto dei valori anche se con fatica abbiamo fatto passare una linea di apertura alla globalizzazione ("non liberista") e tante altre cose.
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NOW: Stiamo per lanciare l'associazione "Il Coraggio di Cambiare": ci lavorano GianMario Nava e Carlo Lavalle. Pensiamo poi di operare nel PD come "circolo on line". Stiamo anche riflettendo su iniziative di democrazia dal basso autonome dal PD. Ma qui mi fermo.
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Quali scenari si apriranno dopo le elezioni? E noi, come dobbiamo comportarci? Vado all'estero una settimana. Rifleterò. E anche voi, offrite le vostre riflessioni.
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Buona Pasqua!

mercoledì 19 marzo 2008

Genova 2001 : quei silenzi sul Garage Olimpo di Bolzaneto

La parola a Marco Poggi. Da:
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MARCO Poggi, infermiere penitenziario, entrò in servizio a Bolzaneto alle 20 di venerdì 20 luglio 2001 e ci rimase fino alle 15, 15.30 di domenica 22 luglio. "Ho visto picchiare con violenza e ripetutamente i detenuti presenti con schiaffi, pugni, calci, testate contro il muro". "Picchiava la polizia di stato ma soprattutto il "gruppo operativo mobile" e il "nucleo traduzioni" della polizia penitenziaria. Ho visto trascinare un detenuto in bagno, da tre o quattro agenti della "penitenziaria". Gli dicevano: "Devi pisciare, vero?". Una volta arrivati nell'androne del bagno, ho sentito che lo sottoponevano a un vero e proprio linciaggio...".
Alcuni detenuti non capivano come fare le flessioni di routine previste dalla perquisizione di primo ingresso in carcere. Meno capivano e più venivano picchiati a pugni e calci dagli agenti della polizia penitenziaria. Gli ufficiali, i sottufficiali guardavano, ridevano e non intervenivano. Ho visto il medico, vestito con tuta mimetica, anfibi, maglietta blu con stampato sopra il distintivo degli agenti della polizia penitenziaria, togliere un piercing dal naso di una ragazza che era in quel momento sottoposta a visita medica e intanto le diceva: "Sei una brigatista?"".
Marco Poggi è "l'infame di Bolzaneto". Così lo chiamavano alcuni agenti della "penitenziaria" e lui, in risposta, per provocazione, per orgoglio, per sfida, proprio in quel modo - Io, l'infame di Bolzaneto - ha voluto titolare il libro che raccoglie la sua testimonianza. Poggi è stato il primo - tra chi era dall'altra parte - a sentire il dovere di rompere il cerchio del silenzio. "Delle violenze nelle strade di Genova - dice - c'erano le immagini, le foto, i filmati. Tutto è avvenuto alla luce del sole. A Bolzaneto, no. Le violenze, le torture si sono consumate dietro le mura di una caserma, in uno spazio chiuso e protetto, in un ambiente che prometteva impunità. Solo chi l'ha visto, poteva raccontarlo. Solo chi c'era poteva confermare che il racconto di quei ragazzi vittime delle violenze era autentico. Io ero tra quelli. Che dovevo fare, allora? Dopo che sono tornato a casa da Genova, per giorni me ne sono stato zitto, anche con i miei. Io sono un pavido, dico sempre. Ma in quei giorni avevo come un dolore al petto, un sapore di amaro nella bocca quando ascoltavo il bla bla bla dei ministri, le menzogne, la noncuranza e infine le accuse contro quei ragazzi. Non ho studiato - l'ho detto - ma la mia famiglia mi ha insegnato il senso della giustizia. Non ho la fortuna di credere in Dio, ho la fortuna di credere in questa cosa - nella giustizia - e allora mi sono ripetuto che non potevo fare anch'io scena muta come stavano facendo tutti gli altri che erano con me, accanto a me e avevano visto che quel che io avevo visto. Ne ho parlato con i miei e loro mi hanno detto che dovevo fare ciò che credevo giusto perché mi sarebbero stati sempre accanto. E l'ho fatta, la cosa giusta. Interrogato dal magistrato, ho detto quel che avevo visto e non ci ho messo coraggio, come mi dicono ora esagerando. Non sono matto. Ci ho messo, credo, soltanto l'ossequio per lo stato, il rispetto per il mio lavoro e per gli agenti della polizia carceraria - e sono la stragrande maggioranza - che non menano le mani".

Marco Poggi ha pagato il prezzo della sua testimonianza. "Beh! - dice - un po' sì, devo dirlo. Dopo la testimonianza, in carcere mi hanno consigliato - vivamente, per dire così - di lasciare il lavoro. Dicevano che quel posto per me non era più sicuro. Qualcuno si è divertito con la mia auto, rovinandomela. Qualche altro mi ha spedito la mia foto con su scritto: "Te la faremo pagare". Il medico con la mimetica e gli anfibi mi ha denunciato per calunnia. Ma il giudice ha archiviato la mia posizione e con il lavoro mi sono arrangiato con contratti part-time in case di riposo per anziani. Oggi, anche se molti continuano a preoccuparsi della mia integrità più di quanto faccia solitamente la mia famiglia, sono tornato a lavorare in carcere, allo psichiatrico di Castelfranco Emilia. Mi faccio 160 chilometri al giorno, ma va bene così. Sono tutti gentili con me, l'infame di Bolzaneto".
Dice Marco Poggi che ... lui "lo sapeva fin dall'inizio che poi le condanne sarebbero state miti e magari cancellate con la prescrizione". Dice Poggi che però "quel che conta non è la vendetta. ... Quel che conta è che siano puniti e che la loro punizione sia monito per altri che, come loro, hanno la tentazione di abusare dell'autorità che hanno in quel luogo nascosto e chiuso che è il carcere, la questura, la caserma. Per come la penso io, la debolezza di questa storia non è nel carcere che quelli non faranno, ma nella sanzione amministrativa che non hanno ancora avuto e che non avranno mai. Che ci vuole a sospenderli da servizio? Non dico per molto. Per una settimana. Per segnare con un buco nero la loro carriera professionale. È questa la mia amarezza: vedere i De Gennaro, i Canterini, i Toccafondi al loro posto, spesso più prestigioso del passato, come se a Genova non fosse accaduto nulla. Io credo che bisogna espellere dal corpo sano i virus della malattia e ricordarsi che qualsiasi corpo si può ammalare se non è assistito con attenzione. Quella piccola minoranza di poliziotti, carabinieri, agenti di polizia penitenziaria, medici che è si abbandonata alle torture di Bolzaneto è il virus che minaccia il corpo sano. Sono i loro comportamenti che hanno creato e possono creare, se impuniti, sfiducia nelle istituzioni, diffidenza per lo Stato. Possono trasformare gli uomini in divisa - tutti, i moltissimi buoni e i pochissimi cattivi - in nemici del cittadino. Non ci vuole molto a comprendere - lo capisco anch'io e non ho studiato - che soltanto se si fa giustizia si potrà restituire alle vittime di Genova, ai giovani che vanno in strada per manifestare le loro idee, fiducia nella democrazia e non rancore e frustrazione. I giudici fanno il loro lavoro, ma devono fare i conti con quel che c'è scritto nei codici, con quel che viene fuori dai processi. Non parlo soltanto dei processi, è chiaro. Parlo della responsabilità della politica. Che cosa ha fatto la politica per sanare le ferite di Genova? Gianfranco Fini, che era al governo in quei giorni, disse che, se fossero emerse delle responsabilità, sarebbero state severamente punite. Perché non ne parla più, ora che quelle responsabilità sono alla luce del sole? Perché Luciano Violante si oppose alla commissione parlamentare d'inchiesta? Dopo sette anni questa pagina nera rischia di chiudersi con una notizia di cronaca che dà conto di una sentenza di condanna, peraltro inefficace, senza che la politica abbia fatto alcuno sforzo per riconciliare lo Stato e le istituzioni con i suoi giovani. Ecco quel che penso, e temo".
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Il processo per i fatti di Bolzaneto, scrivono i pubblici ministeri nella memoria consegnata ieri al tribunale di Genova, è "un processo dei diritti". Le testimonianze, le fonti di prova raccolte, le timide ammissioni degli imputati, la ricostruzione di quel che è accaduto in una caserma italiana diventata, per tre giorni, un argentino Garage Olimpo parlano della dignità della persona umana, della libertà fisica e morale del cittadino detenuto. Ci ripetono che anche una democrazia è capace di torturare. Che anche la nostra giovane democrazia può avvitarsi, senza preavviso, in una spirale autoritaria, e non solo i regimi che si nutrono dell'annientamento dell'altro per sopravvivere. Ci ricordano che l'umiliazione di un uomo prigioniero e indifeso, abbandonato a un deserto di regole, garanzie e umanità apre un solco profondo tra il cittadino e lo Stato. Ci annunciano come può collassare la cultura stessa della nostra convivenza civile. L'indignazione non può bastare per quel che accaduto a Genova Bolzaneto. ...
... e tuttavia anche le parole del presidente emerito della Corte costituzionale sono cadute nel vuoto. Il governo in carica tace come se l'affare non lo interpellasse e riguardasse gli altri che governavano nel 2001. Tace il centro-destra, dimentico che quelle violenze si consumarono ... mentre un vice-presidente del Consiglio (Fini) era ospite della "sala operativa" in questura e un ministro di Giustizia (Castelli), nel cuore delle notte, visitava la caserma di Bolzaneto bevendosi la storiella che i detenuti erano nella "posizione del cigno" contro un muro (gambe divaricate, braccia alzate) per evitare che gli uomini molestassero le donne. Tace Bertinotti, tace Veltroni come se la promessa di un'Italia "nuova" potesse fare a meno di chiedersi: perché c'è stato l'inferno di Bolzaneto? E quale garanzie abbiamo che non accada più?
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NB: Noi invece già da tempo abbiamo già parlato dell'argomento, e presentato proposte: vedi l'ultima sezione ("La libertà") del programma sulle istituzioni in:

sabato 15 marzo 2008

Tibet free!

Domani 16 Marzo manifestazioni in tutta Italia per il Tibet. A Roma: ore 16 in L.go Ecuador, di fronte all'Ambasciata cinese.
Ho la sensazione che in ogni stato democratico la Costituzione dovrebbe prevedere una procedura (non facile) per la secessione.

"Noi faremo un'Italia nuova"

Ecco il video di una delle nuove candidate del PD al Parlamento. Lascio a voi i commenti.

http://www.youtube.com/watch?v=EI1M4yB-J3Y

giovedì 6 marzo 2008

Il ritorno della finanza creativa

Berlusconi a “Porta a Porta” annuncia nuove cartolarizzazioni. Ecco il piano.

a) Vendere le abitazioni pubbliche agli attuali inquilini, "trasformando le attuali rate di affitto in rate di mutuo” (ventennale? trentennale?).
b) “Cartolarizzare” l’intero mutuo, cioè le rate future, vendendole subito (scontate) alle banche.
c) Usare il denaro così raccolto per ridurre le imposte e aumentare la spesa pubblica.

Gli effetti di questa “brillante” manovra saranno questi:
(1) Lo stato regala (e perde) un bel pezzo del suo patrimonio, a parità di debito pubblico, cioè gonfia il debito pubblico effettivo (anche se non emerge nelle statistiche del Patto di Stabilità). Lo Stato diventa più povero, e in futuro dovrà aumentare le tasse.
(2) Intanto il governo si spende i soldi ottenuti dalle banche, svendendo il patrimonio pubblico; si prende la popolarità e non i costi. E' la politica della cicala invece che della formica. E’ la strada seguita dall’Argentina negli anni “50 e “60 con Peròn, che portò quel paese ad un inarrestabile declino, fino alle grandi crisi degli anni “70 e “80 (con tanto di iperinflazione, dittature militari, e desaparecidos). Un modo come un altro di affondare lo stato, e il paese.
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P.S.: Ecco perché noi del "Coraggio di cambiare" invochiamo una legge di attuazione dell'Art.81 c.4 Cost. Al punto 9 del programma sulla p.a. per le primarie scrivemmo: "Occorrono regole stabili, se possibile condivise, forse costituzionali; ed una Autorità sul Bilancio Pubblico che lasci alla politica mano libera sulla composizione della spesa e delle entrate, ma non sui saldi e sulle regole contabili". Non era difficile capire i motivi: quando i barbari sono quasi alle porte, per prima cosa si rafforzano le mura. Il governo Prodi non lo ha fatto, e i nostri elettori oggi sono arrabbiati e scoraggiati.

martedì 4 marzo 2008

La mia candidatura mancata

Tutti mi chiedono un commento sulla mia esclusione dalle liste. Pur non essendo questo il problema che più mi assilla, ho dunque emesso il seguente comunicato stampa. Ad integrazione dello stesso, sottolineo ancora una volta che - a mio avviso - le candidature espresse dal PD - pur non coinvolgendo in quantità rilevanti le intelligenze e le progettualità (sul piano sociale ed istituzionale) del paese - sono di qualità superiore alla media della politica italiana. E dato che ho l'abitudine di dire pane al pane ecc., nessuno può sospettarmi di dire questo per secondi fini.

Nessun avvertimento di Veltroni potrà impedirmi di sognare anche a voce alta una democrazia diversa, aperta e contendibile, dove il controllo democratico dei cittadini sia almeno in parte effettivo. Ma a Veltroni bisogna anche dare atto di quel che di buono sta facendo: salvare un sistema di potere (la "casta") esprimendo il meglio che questo sistema è in grado di offrire. In fondo, che volete di più da uno come lui? Beh, forse una cosa ci sarebbe: consentire a un'altra prospettiva politica, più coraggiosa della sua, magari più ingenua e visionaria, di esistere, nel PD.

PD: GAWRONSKI, IO ESCLUSO PER LOGICHE DI CASTA

(ANSA) - ROMA, 4 MAR - ''PierGiorgio Gawronski, candidato
alle primarie del Pd, lamenta la sua esclusione dalle liste
veltroniane: ''Evidentemente, al Partito Democratico non
interessano le nostre posizioni politiche e i nostri ideali,
cioe' il rinnovamento profondo della politica, la fine dei
privilegi, e il ristabilimento della democrazia, ma solo un
rinnovamento di facciata, all'interno delle vecchie logiche di
cooptazione degli apparati''.
Se questa e' la meritocrazia che i partiti hanno in mente,
l'unica strada che resta aperta agli italiani - per ritrovare
una dignita' di donne e uomini liberi - sono gli strumenti di
democrazia diretta. Non pero' il referendum elettorale (previsto
per l'anno prossimo) che sarebbe un clamoroso autogol, ma una
serie di iniziative ben mirate contro i meccanismi di
auto-conservazione della 'casta' di cui noi cittadini dovremo
farci carico il prima possibile''.
(ANSA).

I53
04-MAR-08 12:59 NNNN

lunedì 3 marzo 2008

Un gigantesco conflitto d'interesse


Oggi a Roma il Consiglio Nazionale del PD si è riunito per approvare le liste del PD alle prossime elezioni politiche.

Arrivando alla riunione, non sapevamo chi sarebbero stati i candidati “proposti”. Ma Franceschini ha iniziato a leggere, a freddo, liste di nomi, cominciando dalla Sardegna; e ci ha chiesto di votare, regione per regione: eravamo d’accordo o no? Sguardi perplessi, poi il voto: tutti d’accordo tranne un astenuto, io. Come faccio a votare gente che non so chi sono? Potevano almeno darci gli elenchi 24 ore prima, magari con tre righe di c.v.. Un perfetto esempio di come i “riti” della democrazia vengono svuotati di contenuto. Dopo la mia solitaria astensione (a quanto pare nei partiti “non si usa” dissentire) il governatore sardo, Soro, prende coraggio e chiede la parola: “Sono in politica da soli 4 anni e faccio fatica a restarci… in quelle liste non mi ci riconosco, non c’è niente del rinnovamento tanto sbandierato…”. Ma ormai le liste sarde erano già state votate. E si passa alla Sicilia. E Franco Bassanini: “ma dove sono le competenze necessarie per fare il lavoro parlamentare?” e dalla Sicilia in poi comincia ad astenersi sistematicamente anche lui.

Il quadro generale è emerso alla fine. La società civile ne esce male. Dietro alle candidature di Veronesi, Colaninno e pochi altri molto mediatizzati, ci sono in massa, compatti, gli apparati DS e Margherita. Il rinnovamento? Ecco un esempio: al posto di De Mita (“Evviva evviva, lo hanno cacciato!”) viene candidata la responsabile giovanile locale della Margherita: nominata in quel ruolo da… De Mita!

E allora intervengo, e dico che la politica non si “rialza” finché un apparato in pieno conflitto di interesse nomina in Parlamento se stesso invece che le competenze del paese, le intelligenze, chi sviluppa progetti di modernizzazione sociale e istituzionale. La scelta di candidare gli apparati è ancora più grave a causa della Legge elettorale vigente, che espropria i cittadini del diritto di “interferire” nella selezione della propria classe dirigente. Se i leader politici sono i nostri sovrani (e noi i loro sudditi), potrebbero essere almeno dei sovrani illuminati!

Risponde Veltroni: “Vorrei dire a Gawronski… Noi abbiamo innovato molto! Dei 4 capilista della “società civile”, solo uno viene dai partiti… E allora dico: non facciamoci del male!”

Si, Walter, avete innovato molto: ma troppo spesso dentro a una logica vecchia. Più donne, più giovani… Ma: donne dell’apparato … giovani assessori… i cooptati di Letta, la raccomandata dell’Arel… Io avrei candidato, per il 50%, grandi intelligenze esterne al partito, non importa se note al grande pubblico, ma tutte con un progetto per l’Italia ben delineato. Così invece, è come se gli apparati dei DS e della Margherita dicessero ai cittadini: “Il P.D.? E' cosa nostra!”.

Quanto al “farsi del male”, mi viene in mente quel che mi disse, con dolore, Pietro Scoppola, nel Giugno 2007 quando, con dolore, gli raccontai quello che stava avvenendo a Palazzo Chigi (ad opera di Enrico Letta e Fabio Gobbo): “per quanto scomoda, la verità deve venir fuori”. E allora seguendo la lezione di Pietro, credo che ci facciamo del male solo quando non siamo coerenti.