I proclami sui salari bassi che infuocano (si fa per dire, vista la rassegnazione generale) la campagna elettorale ricordano un po' gli slogan peronisti degli anni 50. I contendenti dicono di voler aumentare gli stipendi, insieme alla pensioni (senza dire dove troveranno i soldi ovviamente), e tanto per aggiungere qualche corbelleria in piu' a beneficio dei gonzi, si parla anche di riduzione delle tasse.
Ma tanto per cominciare sarebbe utile capire i motivi per cui i salari sono bassi. Una volta individuate le cause forse si potrebbe immaginare una soluzione. I salari in Italia sono bassi (se paragonati alla media degli altri paesi OCSE), e tenderanno a diminuire ancora piu' rapidamente in termini reali, per tre motivi basilari:
1) La Cina, l'India e molti altri paesi emergenti sono in grado di produrre a costi molto piu' bassi nei settori maturi dove una volta l'Italia aveva posizioni di leadership: tessile, calzature, mobili, elettrodomestici etc. Per quelle poche aziende che ancora riamangono a galla (ma non per molto) l'unico modo di prolungare l'agonia e' quello di pagare i dipendenti il meno possibile. Per questo ricorrono ad immigrati (spesso in nero) e/o a precari.
2) I settori ad alta tecnologia, quindi ad alto valore aggiunto, dove si pagano salari dignitosi, in Italia sono asfittici. Non si fa ricerca, quella poca che si fa raramente si traduce in innovazione industriale o in brevetti utili. E anche se qualche imprenditore italiano con capacita' di innovazione esistesse non sarebbe cosi' imbecille da investire in un paese dove le tasse e gli oneri sociali sono punitivi, le regolamentazioni sono da delirio, le banche sono dedite all'usura e le infrastrutture sono da terzo mondo (per non parlare della criminalita' organizzata e delle cosiddette istituzioni). Quindi andrebbe ad investire in un paese civile, dove magari avrebbe probabilita' di trovare fondi di venture capital (concetto pressoche' sconosciuto nello Stivale).
3) I prezzi delle materie prime specialmente quelle energetiche sono destinati ad aumentare perche' almeno un miliardo di individui, che hanno raggiunto la soglia dell'agiatezza nei paesi dell'ex Terzo Mondo, oggi si possono permettere autovetture, elettrodomestici, vestiti e cibi che prima erano loro preclusi. L'impennata della domanda continuera' a gonfiare i prezzi almeno per qualche anno.
Sarebbe interessante sapere quale strategia o proposta viene sottoposta agli elettori per affrontare questi nodi, al di la' dei proclami o delle comparsate da Vespa & Co.
Fabio Scacciavillani
lunedì 31 marzo 2008
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6 commenti:
Aggiungerei anche che esiste un' altro aspetto: lavoro nel "sistema" produttivo da oltre 25 anni, ed anch' esso vive la stessa decadenza che viviamo nella politica. Anche li oggi esiste "la casta". Per buona parte della mia carriera, esistevano i cosiddetti valori del lavoro: le persone capaci venivano valorizzate, e tenute strette dagli imprenditori, fidelizzate a tutti i costi, i posti di responsabilità erano affidati a persone esperte e professionalmente preparate, con lunghi curriculum decennali alle spalle, spesso all’ interno della stessa azienda dove avevano iniziato. Poi man mano siamo arrivati alla situazione odierna, ove chi ha raggiunto posti importanti, non se ne va mai più, e per giustificare la sua "indispensabilità" si attornia in posti di responsabilità di neo-laureati inesperti, ma proprio per questo pronti a qualunque cosa (non so perchè ma le università sfornano gente decisamente "aggressiva", e smaniosa di una carriera veloce e folgorante), e senza il minimo scrupolo, ne il minimo rispetto per la gente più esperta di loro, che sono “incaricati” di scavalcare. Questi ultimi proprio per il fatto di essere esperti, preparati, professionalmente validi, sarebbero in grado benissimo, di portare avanti al meglio le aziende, senza la necessità dei decani, nè dei giovanotti smaniosi, che di "farsi le ossa" sul campo non vogliono nemmeno sentir parlare. I decani "chiosano" perchè così rimangono "in sella", e la generazione di mezzo, la vera ricchezza del sistema industriale italiano, paga pegno.
Stessa cosa avviene nel ricambio generazionale a livello imprenditoriale, altra grande questione spesso irrisolta del nostro sistema: i rampolli di famiglia del "fondatore" storico dell' impresa, pur giovanissimi sono subito proiettati verso importanti posti direzionali, a dirigere persone che ne sanno migliaia di volte più di loro, e questo crea scompensi organizzativi e frustrazioni nelle risorse più valide.
Quindi caro Fabio aggiungi pure un 4 punto: il sistema industriale non da spazio e non valorizza le professionalità capaci ed esperte che ha numerose al suo interno, ma preferisce affidarsi a "yesman" proprio come nella politica. Il sistema industriale italiano, deve puntare su quello che Cina, India e altri emergenti, non sanno ancora fare, e che i nostri cinquantenni sanno fare a memoria, ed invece li inseguiamo sul loro terreno, ove non potremo mai competere. Stiamo addirittura importando la globalizzazione nelle politiche di gestione del personale all' interno delle aziende, e nei modelli organizzativi: si punta al fatto che il personale sia tutto "intercambiabile" in una estrema semplificazione e generalizzazione dei ruoli, affinchè chiunque possa essere sostituito in breve tempo e senza traumi, magari con personale “interinale” o assunzioni a termine, naturalmente “sottopagato”. Come può sostenersi un sistema produttivo, con giovani lavoratori “precari”, valanghe di laureati “yesman”, un’ intera generazione di cinquantenni “frustrata”, ed inseguendo modelli, politiche, sistemi organizzativi, di importazione, che non tengono conto delle tipiche peculiarità italiane, del genio, dell’ inventiva, della creatività, della maestria che si raggiunge solo ed unicamente con l’ esperienza. Si vogliono introdurre nelle piccole aziende che si contraddistinguono per la grande flessibilità, adattabilità e “fantasia” organizzativa, modelli altamente burocratizzati progettati per le multinazionali…
Sinceramente quello che mi stupisce, più che i “salari bassi”, è che il sistema produttivo stia ancora a galla..
Caro Maurizio,
Hai assolutamente ragione! Non cambierei nemmeno mezza virgola nel tuo scritto di straordinaria chiarezza e lucidita'.
Il disprezzo per l'esperienza, il riempirsi la bocca di concetti anglosassoni di cui non si capisce nemmeno il significato, il circondarsi di parenti sussieguosi ed imbecilli usa e getta assoldati con contratti a termine, sono tutti fenomeni che hanno distrutto il tessuto economico del paese.
Non esistono piu' imprese di dimensioni serie in Italia se si escludono i monopolisti, le banche e Mediaset, e quel poco che sopravvive si nutre piu' di sussidi che di imprenditorialita'.
Per questo gli imprenditori fanno a gara nella genuflessione ai politici e nella corsa alle liste. I Colaninno ed i Ciarrapico di turno (per non parlare del caso piu' macroscopico, cioe' Berlusconi stesso) non vanno certo in Parlamento per spirito di servizio pubblico.
Va aggiunto che l'incompetenza dilagante tra i vertici aziendali e' conseguenza anche della corruzione diffusa che Tangentopoli ha scalfito solo in minima parte. Quando per "fare fatturato" e' necessario ungere le ruote (e cio' vale per la Fiat e per il negozietto di alimentari) fa carriera non chi e' piu' bravo a gestire un'azienda, ma chi e' piu' svelto a distribuire mazzette e conosce i proverbilai "canali giusti".
Peccato che nel mercato internazionale queste miserie non portino lontano e pertanto l'Italia nel processo di globalizzazione e' uno dei paesi piu' penalizzati. Come finira'? Purtroppo non credo che finira' bene. Con una recessione alle porte, quelle poche certezze rimaste saranno spazzate via come il bilancio di Alitalia. Rimarra' Berlusconi incipriato nello studio di Fede a dare la colpa ai comunisti.
Al chiarissimo intervento di Maurizio, aggiungerei un ulteriore punto dolente: l'inefficienza della P.A., gestita da personaggi miopi ed indifferenti, collocati in posizioni di responsabilità, rappresentanti di una "casta" inamovibile, manutengola della "casta" politica e per questo esiziale per il destino del Belpaese
Io sono daccordo con i contenuti dei commenti. Vorrei invece dire a Fabio che non me la prenderei tanto con l'India e la Cina: c'è già tanto protezionismo ni giro, da Tremonti a Bertinotti, che ne avanza. Tutti gli studi economici che conosco - e ne conosco tanti sulla materia - dimostrano che nostri guadagni di reddito reale - generati ad es. dai prezzi più bassi delle merci cinesi - superano ampiamente (ma di dieci-quindici volte) le perdite di reddito derivanti dalle materie prime più care; e anche la la "concorrenza" delle importazioni asiatiche (che esistono solo in quanto noi a nostra volta esportiamo da loro) è un gioco a somma positiva.
Smettiamola anche con la retorica della "concorrenza sleale" dei bassi salari cinesi. Sono almeno 190 anni che gli economisti hanno dimostrato che i costi di produzione di un paese (salari, standard ambientali, ecc.) salgono in maniera proporzionale con la sua produttività media. I salari dei cinesi sono 10 volte inferiori ai nostri (dieci anni fa erano 25 volte inferiori ai nostri), è perché i cinesi sono attualmente, in media, circa 10 volte meno produttivi di noi (in una giornata di lavoro producono 10 volte di meno). Per cui i "costi per unità di prodotto" sono alla fine uguali ai nostri, nella media dei diversi settori. Pagare un cinese 10$ alla giornata per produrre 1 paio di scarpe o pagareun italiano 100$ perr produrre 10 paia di scarpe: alla fine produrre le scarpe costa sempre 10$ al paio.
Gli industriali sono sempre in cerca di protezioni e sussidi, non amano la concorrenza e il mercato: e purtroppo si realizza questa saldatura fra interessi delle lobby industriali nostrane (tessili ecc.) con la mentalità statalista post-comunista avversa all'economia di mercato. Non ci caschiamo! Il monopolio, il protezionismo non sono nell'interesse della povera gente.
Taiwan è un caso limpido fra i tanti: importano il 70% del PIL dalla Cina (altro che il nostro 4%), delocalizzano i lavori e i prodotti meno avanzati, ma localizzano le funaioni avanzate, e grazie a questa gigantesca ristrutturazione globale crescono velocissimi.
La stasi dei nostri salari avviene non a causa dell'avanzata delle economie asiatiche (tutto il mondo ne sta beneficiando!), ma nonostante essa. Inutile girarci intorno con proposte di detassazione, utili, ma infime: o rilanciamo la crescita, anche con una maggiore apertura ninternazionale, oppure i nostri salari sono destinati a restare stagnanti.
Piergiorgio... una cosa non mi convince, quella su Taiwan: non possiamo usare come modello di riferimento un paese di 23 milioni di abitanti, appiccicato ad un altro di oltre 1 miliardo di abitanti tutt' attorno, in confronto con l' italia. Al limite, con le dovute proporzioni, potremmo paragonare Taiwan con San Marino, e ti assicuro: anche a San Marino l' economia è floridissima.
Taiwan è pieno zeppo di multinazionali e speculatori che vanno li per beneficiare al contempo della vicinanza della Cina (delocalizzazione a basso costo), e dell' inquadramento nel sistema capitalistico occidentale (liberismo più sfrenato). E' il sogno di tutti gli imprenditori: botte piena, moglie ubriaca, e uva nella vigna.
Ma tornando a Taiwan, la sua economia nel suo complesso crescerà e andrà anche bene, ma quante "vittime" ha fatto? fra quei 23 milioni ci sarà pure una importante percentuale di abitanti, che non costituiscono l' "elite" intellettuale in grado di localizzare le funzioni "avanzate", quindi mi chiedo: la gente normale, in grado di fare solamente i lavori più umili, cosa fà a Taiwan... beneficia di un assistenzialismo diffuso "di stato" (come a San Marino) o fa la fame?
Ed in Italia, se delocalizziamo come fa Taiwan, cosa fanno tutti i lavoratori ai livelli più modesti di qualifica e di stipendio?
Al posto di Taiwan puoi metterci qualsiasi paese del mondo, in particolare qualsiasi paese vicino alla Cina, all'India... più i paesi commerciano con la Cina (o con altri paesi asiatici "a basso costo"), più crescono.
La "gente normale" di Taiwan (o di altri paesi molto aperti alla Cina) vede semplicemente crescere molto in fretta i propri salari. Al seguito, crescono le protezioni sociali.
Il cambiamento (contrariamente a una società statica) provoca anche dei perdenti, gente che ci perde dal cambiamento e dal progresso. Per esempio, all'inizio del secolo scorso, qui da noi, l'arrivo dell'energia elettrica gettò sul lastrico i candelai; negli anni "80 l'arrivo dei PC portò al fallimento la Olivetti (macchine da scrivere); ecc.. Vi sono tre modi di reagire : (a) rifiutare il cambiamento e chiudersi (no global, sinistra radicale, Tremonti e destre populiste); (b) sostenere che i perdenti possono cavarsela da soli e che se lo Stato interviene fa più danni che altro (liberisti: Reagan, Bush, Thatcher...); (c) metetre su un sistema di welfare in continua trasformazione (pr adattarsi ai mutevoli tipi di disagi sociali), un "welfare to work" che protegga con efficacia mirata chi va in crisi, e lo aiuti a reinserirsi.
Al di là di tutto, mi pare che sorvoli sul mio messaggio fondamentale: commercio => ristrutturazione continua della divisione internazionale del lavoro => maggiore specializzazione del lavoro, maggiori economie di scala ==> crescita della produttività =0> crescita generalizzata dei redditi. E' strano come questo messaggio, ormai già ultra assodato dagli economisti sul piano teorico e inoltre evidente sul piano empirico (come cercavo di dire), sia difficile da accettare per l'opinione pubblica. Anche se una ragione c'è: è contro-intuitivo. D'altronde, ancora a fine "700 in Europa si era convinti (salvo gli astronomi) che il Sole gira intorno alla Terra...
Prova a pensarla così: agli inglesi (notoriamente golosi lemon cakes) conviene produrre i limoni impiantando una serie di serre riscaldate e con illuminazione artificiale, o facendo pascolare le loro pecore, tagliando la lana di cachemire, e mandandola in Sicilia in cambio di limoni siciliani? Ecco: il commercio è per loro uno dei modi possibili di produrre ... limoni. Il più efficiente.
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