mercoledì 22 ottobre 2008

Ballarò: liberismo e statalismo si strizzano l'occhio


Immaginate un’automobile che viaggia da Roma a Milano. C’è chi dice: “niente regole, nessuna segnaletica, nessun limite di velocità, chi vuole guida a destra e chi vuole guida a sinistra. Lasciamo gli automobilisti auto-regolarsi senza intromissioni da parte dello stato”. Demenziale, vero? In economia, sono i liberisti. Altri dicono: “Guardate quanti incidenti, quanti morti sulle strade: vietiamo gli spostamenti oltre i 100Km!" Così sono i protezionisti in economia. "O al limite, siamo noi, lo Stato, che deciderà di volta in volta chi può spostarsi e chi no". Sono gli statalisti. Come sempre, gli estremisti si alimentano a vicenda. Quanto più liberismo, tanti più morti, tanto più forte l’impulso a “vietare” gli spostamenti; tanto più soffocanti le restrizioni degli statalisti, tanto più forte l’impulso a cancellare ogni regola.

La crisi finanziaria ha evidenziato il bisogno di regole, non quello di cancellare la finanza. (Emerge anzi che, senza finanza, l’economia reale si ferma. E con essa, a valle, ogni progetto di riforma sociale). L’esperienza del 1930-39 ha evidenziato che un aumento del protezionismo (impedire i commerci, impedire ai mercati di funzionare) è la ricetta ideale per trasformare una crisi bancaria in una catastrofe globale. Esiste dunque una terza via, quella indicata dagli economisti liberal (i premi Nobel Joe Stiglitz, Paul Krugman, Amartya Sen, e il nostro Tito Boeri fra i tanti), che riconoscono sia i limiti del mercato (su cui bisogna intervenire con opportune regole) sia le sue virtù. E’ l’impostazione degli anni 1950-70, che tanto contribuì a creare una società opulenta ma anche pacifica e socialmente equilibrata. Con questa ondata di paura, irrazionalità, e strumentalizzazioni politiche, si fa fatica a farle spazio.

Ieri a Ballarò Castelli (Lega) e Alemanno (AN) e una rappresentante della “Sinistra” ripetevano in coro: no alla globalizzazione, no alle liberalizzazioni, sì al protezionismo, si all’intervento diretto dello Stato in economia. In realtà, questi interventi oggi sono resi necessari dalla crisi provocata dal liberismo. Lor signori vorrebbero approfittarne per renderli permanenti: ecco come liberismo e statalismo si alimentano reciprocamente. Il solo Franceschini (PD) ha lucidamente reagito a queste fesserie (comprese quelle del più volte citato Tremonti, il cui libro può avere successo solo in un paese provinciale e mediaticamente controllato come il nostro). Ha ricordato che l’economia di mercato (sorretta da una regolamentazione pubblica, non politicizzata come quella di Bush) ha consentito lo sviluppo della nostra civiltà. Lo statalismo non garantisce affatto un mondo migliore (ad es. i grandi inquinatori del XX sec. furono proprio l’URSS e i paesi satelliti). Dobbiamo avere chiaro che questa gente, di destra e di sinistra, è pericolosa per la società; per la libertà, per la pace (se ai mercati si accede grazie al permesso dei governi, cominceranno le guerre per conquistare i mercati), per il benessere di tutte le donne e gli uomini del mondo, e anche per gli equilibri sociali che dicono di voler difendere.

Il progetto di politicizzazione della società e delle istituzioni da parte della destra avanza. E’ urgente contrapporre un progetto di società aperta di stampo kennediano. Perché il PD non coinvolge le intelligenze economiche di area democratica?

8 commenti:

Andrea Guerriero ha detto...

Lo Statalismo è il distruttore di ogni ordine istituzionale e morale,generatore di effetti perversi come il degrado della lotta politica, l'immoralità pubblica e privata.
L'eccessivo intervento dello Stato significa, oltre a l'inefficienza dal punto di vista economico, la corruzione per la spartizione dei posti nell'aziende pubbliche, lo Stato deve facilitare l'iniziativa privata, con regole certe e con un funzionamento efficiente della P.A.
Andrea

Fabio Scacciavillani ha detto...

La diga di risorse pubbliche eretta affannosamente dai governi non riesce a fronteggiare l’onda di piena che investe i mercati finanziari. Ogni giorno le Borse chiudono con un nuovo smottamento. Se nemmeno la quasi nazionalizzazione del settore bancario e’ sufficiente a riportare un minimo di ordine cos’altro si puo’ fare? Purtroppo quasi nessuno ha esperienza di un cataclisma di questa portata, ne’ sui mercati, ne’ tra le autorita’. Ma prevale la netta impressione che i governi su entrambe le sponde dell’Atlantico procedano a tentoni. In una situazione che richiederebbe leadership, idee chiare e velocita’ di esecuzione, tra ministri e presidenti che si incontrano sotto tutte le sigle della cabala diplomatica (G4, G7, G20, IMF etc.) serpeggia la confusione. Mentre per i traders gia’ ben oltre l’orlo di una crisi di nervi, la paura assume ogni giorno connotazioni diverse: rischio di controparte, deleveraging, recessione, piani d’emergenza modificati in continuazione, attacchi politici agli hedge funds.
In realta’ la diga di risorse pubbliche non e’ sufficiente a garantire tutti (risparmiatori, banche, imprese, fondi) se le cose volgeranno al peggio. Il settore finanziario ha esposizioni complessive che vanno al di la’ della capacita’ di intervento di molti singoli governi europei. Forse tra le grandi economie solo l’America potrebbe sperare di attuare un salvataggio generalizzato. Per questo il dollaro si rafforza. L’America al tempo stesso causa della crisi ed ultima spiaggia.
Per di piu’ le misure messe in campo non rilanciano l’economia reale. Con la garanzia sui depositi interbancari si credeva che il credito alle imprese si sarebbe sbloccato. E invece le banche si tengono stretta la liquidita’ graziosamente e generosamente concessa a spese del contribuente mentre l’economia va inb recessione. Una volta scaricati i rischi sui conti pubblici, i banchieri hanno deciso che non e’ il caso di darsi troppa pena a finanziare i clienti. Hanno tirato i remi in barca e che gli altri si arrangino. Ma la miopia non paga: con l’economia in caduta le Borse crollano e con loro le capitalizzazioni delle banche. Si consideri poi la garanzia sui depositi bancari tanto sbandierata da Berlusconi. In caso di insolvenza i depositanti vedrebbero i soldi “entro tre mesi”. Nel frattempo cosa mangerebbero? Come pagherebbero l’affitto? E le imprese come pagherebbero i dipendenti? Con i calendari della Carfagna? O con i libri di Tremonti?
Se la finanza fosse un aereo la bancarotta di Lehman sarebbe stato l’equivalente di una rottura del timone o del un cedimento di un’ala (a seconda che siate ottimisti o pessimisti). Da allora i governi (dopo aver sonnecchiato beatamente per sedici mesi), hanno preso misure che sono l’equivalente di un rifornimento di carburante in volo. Non servira’ a molto se il velivolo dovesse avvitarsi.

Fabio Scacciavillani ha detto...

La diga di risorse pubbliche eretta affannosamente dai governi non riesce a fronteggiare l’onda di piena che investe i mercati finanziari. Ogni giorno le Borse chiudono con un nuovo smottamento. Se nemmeno la quasi nazionalizzazione del settore bancario e’ sufficiente a riportare un minimo di ordine cos’altro si puo’ fare? Purtroppo quasi nessuno ha esperienza di un cataclisma di questa portata, ne’ sui mercati, ne’ tra le autorita’. Ma prevale la netta impressione che i governi su entrambe le sponde dell’Atlantico procedano a tentoni. In una situazione che richiederebbe leadership, idee chiare e velocita’ di esecuzione, tra ministri e presidenti che si incontrano sotto tutte le sigle della cabala diplomatica (G4, G7, G20, IMF etc.) serpeggia la confusione. Mentre per i traders gia’ ben oltre l’orlo di una crisi di nervi, la paura assume ogni giorno connotazioni diverse: rischio di controparte, deleveraging, recessione, piani d’emergenza modificati in continuazione, attacchi politici agli hedge funds.
In realta’ la diga di risorse pubbliche non e’ sufficiente a garantire tutti (risparmiatori, banche, imprese, fondi) se le cose volgeranno al peggio. Il settore finanziario ha esposizioni complessive che vanno al di la’ della capacita’ di intervento di molti singoli governi europei. Forse tra le grandi economie solo l’America potrebbe sperare di attuare un salvataggio generalizzato. Per questo il dollaro si rafforza. L’America al tempo stesso causa della crisi ed ultima spiaggia.
Per di piu’ le misure messe in campo non rilanciano l’economia reale. Con la garanzia sui depositi interbancari si credeva che il credito alle imprese si sarebbe sbloccato. E invece le banche si tengono stretta la liquidita’ graziosamente e generosamente concessa a spese del contribuente mentre l’economia va inb recessione. Una volta scaricati i rischi sui conti pubblici, i banchieri hanno deciso che non e’ il caso di darsi troppa pena a finanziare i clienti. Hanno tirato i remi in barca e che gli altri si arrangino. Ma la miopia non paga: con l’economia in caduta le Borse crollano e con loro le capitalizzazioni delle banche. Si consideri poi la garanzia sui depositi bancari tanto sbandierata da Berlusconi. In caso di insolvenza i depositanti vedrebbero i soldi “entro tre mesi”. Nel frattempo cosa mangerebbero? Come pagherebbero l’affitto? E le imprese come pagherebbero i dipendenti? Con i calendari della Carfagna? O con i libri di Tremonti?
Se la finanza fosse un aereo la bancarotta di Lehman sarebbe stato l’equivalente di una rottura del timone o del un cedimento di un’ala (a seconda che siate ottimisti o pessimisti). Da allora i governi (dopo aver sonnecchiato beatamente per sedici mesi), hanno preso misure che sono l’equivalente di un rifornimento di carburante in volo. Non servira’ a molto se il velivolo dovesse avvitarsi.

Anonimo ha detto...

Domanda per Piergiorgio sulla crisi economica in atto. Come mai l'euro e` calato cosi` in fretta rispetto al dollaro? Se (come pare) ci sara` una recessione sia in USA che in Europa e` pensabile che l'Euro risalga di molto rispetto al dollaro, soprattutto se la crisi fosse peggiore in USA e tenendo conto del loro altissimo indebitamento?

Enrico

PierGiorgio Gawronski ha detto...

Ciiao Enrico. Il dollaro sale perché i capitali stanno fuggendo dall'America Latina, verso il dollaro. Inoltre molta gente aveva investito sulle monete a alti tassi di interesse (Euro) e ora riporta i soldi a casa (vende l'Euro) perché è a corto di soldi. Infine le istituzioni USA nate nel 1933-37 sono più flessibili delle nostre e più in grado di reagire alla recessione economica (ad es, il mandato della BCE è più rigido di quello della FED). Quindi si teme una recessione più grave e più lunga in Europa. Peraltro, credo che la caduta dell'Euro sia sul punto di arrestarsi, e che rivedremo presto il dollaro indebolirsi

Anonimo ha detto...

perchè mai dovrebbe indebolirsi il dollaro? è sempre meglio delle altre valute...

Anonimo ha detto...

Non capisco due cose:
1) se la vicenda alitalia-cai era nell'interesse dei consumatori, perche' adesso per
alcune citta' (come Firenze) i collegamenti aerei hanno raggiunto prezzi sbalorditivi
(Firenze-Parigi costa 450 Euro, Firenze-Brindisi 350 Euro) perche' sia Alitalia, che
AirOne che Meridiana si sono messi d'accordo su prezzi stratosferici?

2) perche', se per Veltroni, Bersani e Modica, e' ovvio che le famiglie devono essere
aiutate con la riduzione delle tasse e che l'universita' deve essere rilanciata con
l'aumento dei fondi, non l'hanno fatto loro nei 2 anni del Governo Prodi?
Vincenzo

PierGiorgio Gawronski ha detto...

Il dollaro : non abbiamo fatto in tempo a scrivere che ha già incominciato a indebolirsi. perché gli USA hanno ancora un grosso deficit commerciale, che comporta che ogni giorno devono trovare dei finanziatori all'estero disponibili ad accollarsi dei dollari in cambio delle merci che gli americani importano. E il resto del mondo comincia ad avere troppi dollari in portafoglio...

Alitalia - Bravo Vincenzo! C.v.d.! Lo statalismo = inefficienza = lo pagano i consumatori = tassa regressiva sul reddito.

L'Università: è occupata dalle baronie e dalle cordate di TUTTI i colori politici. E' un luogo "da liberare". Ma come altri "luoghi da liberare", non basta cacciare gli occupanti. Perché chi viene dopo potrebbe fare anche peggio. Occorre arrivare con un progetto di regole. Questa è la differenza fra la nostra "rivoluzione democratica" e chi la butta in caciara.